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Discrezionalità tecnica della P.A. e sindacato giurisdizionale sulle valutazioni tecniche

La discrezionalità tecnica: definizione e differenze con l’accertamento e la discrezionalità pura.

La discrezionalità tecnica consiste nel potere riconosciuto alla Pubblica Amministrazione di acquisire la conoscenza di un determinato fatto facendo ricorso a criteri di natura scientifica ed a cognizioni tecniche e specialistiche.

Essa rientra ormai pacificamente nell’alveo dell’esercizio dell’attività amministrativa vincolata 1. Come tale, la discrezionalità tecnica può ricorrere soltanto laddove la Pubblica Amministrazione debba esprimere un mero giudizio di fatto, ossia laddove debba accertare l’esistenza di un fatto che costituisce presupposto predeterminato dal legislatore per l’adozione di un determinato atto (in ciò differenziandosi dalla discrezionalità amministrativa, la quale, invece, espressione del più tipico dei poteri autoritativi, si sostanzia nella potestà di valutare e comparare gli interessi pubblici e/o privati coinvolti in una qualsiasi vicenda di carattere amministrativo, al fine di scegliere quale provvedimenti emanare per determinare un adeguato assetto dei suddetti interessi).


Per capire meglio in cosa consiste la discrezionalità tecnica, occorre premettere che:

  • è sempre la legge ad attribuire un determinato potere alla Pubblica Amministrazione;
  • la legge attributiva del potere può essere molto dettagliata e disciplinare sia i presupposti di fatto per l’esercizio del potere (il cosidetto “an“), sia il quando che il quomodo: in questo caso, si parlerà di potere vincolato;
  • la legge attributiva del potere potrebbe invece essere volutamente indeterminata e non sufficientemente dettagliata: in tal caso, sarà lasciato spazio alla P.A. di “completare” l’attività amministrativa con tutti gli elementi necessari per il corretto esercizio del potere (interessi, contenuto dell’atto, effetti): in tal caso, si parlerà di potere discrezionale.

Ebbene, la discrezionalità tecnica interviene a sostegno dell’attività amministrativa nell’esercizio dei poteri della prima tipologia summenzionata: i poteri vincolati.
Infatti, ogniqualvolta la Pubblica Amministrazione, nell’esercizio di un potere vincolato, debba accertare l’esistenza di uno di quei fatti che la legge ha inteso indicare quale presupposto dell’atto, compie una valutazione tecnica su un fatto. E, nel caso in cui tale valutazione risultasse particolarmente complessa a causa della peculiare natura del fatto stesso (o dall’estrema incertezza della norma) l’unico modo per accertare il fatto è l’utilizzo di criteri e di mezzi tecnici mutuati da scienze specialistiche e di elevata complessità.

Tuttavia tali cognizioni e criteri, essendo propri di scienze che per loro stretta natura sono incerte o non esatte, soffrono talvolta di una certa elasticità, sono cioè in grado di portare a differenti valutazioni, teoricamente tutte giuste e corrette sul piano astratto, ma suscettibili di diverse interpretazioni. In pratica, ogni risultato pervenuto dall’applicazione di tali criteri tecnici appare astrattamente corretto, ma allo stesso tempo opinabile (poiché frutto di un procedimento connesso all’utilizzo di criteri non esatti o incerti, e dunque a loro volta opinabili).

Pertanto, al termine di tali verifiche, è sempre e comunque la P.A. a compiere la scelta definitiva su quale risultato adottare, tra i diversi ottenuti e tutti teoricamente idonei.

Alcuni esempi di discrezionalità tecnicasono: la valutazione che una commissione compie sulla preparazione di un candidato in un concorso pubblico; la valutazione circa il pregio artistico o il valore storico di un edificio; il grado di pericolosità di un contagio epidemico.

Sotto questo profilo, dunque, la discrezionalità tecnica si distingue dall’accertamento tecnico, in quanto quest’ultimo è espressione di un risultato univoco, insuscettibile di diverse interpretazioni: è il caso di una misurazione metrica, o della verifica del grado alcolemico di una bevanda, della composizione chimica di una sostanza, la verifica dei requisiti per il rilascio della cittadinanza. In tali casi, una volta eseguita la rilevazione, non c’è nessuno spazio per la P.A. per compiere ulteriori valutazioni discrezionali in merito al risultato ottenuto.

In sostanza, dunque, la discrezionalità tecnica si discosta sia dall’accertamento tecnico (in quanto presenta profili di attività discrezionale totalmente assenti in quest’ultimo), sia dalla discrezionalità amministrativa pura (poiché nella discrezionalità tecnica non viene presa in considerazione la scelta tra diversi interessi da tutelare, bensì solo la scelta tra diverse valutazioni tecniche su un dato di fatto).

Inoltre, si è ormai consolidata una “terza via” di discrezionalità, la c.d. discrezionalità mista, che rappresenta il connubio tra quella pura e quella tecnica: in tutti i casi, infatti, in cui la legge affidi alla P.A. dapprima il compito di individuare i presupposti dell’atto ricorrendo a norme tecniche e scientifiche e, in seguito, la facoltà di valutare tutti gli interessi in gioco ed eseguire la scelta più adeguata alla tutela dell’interesse pubblico, si procederà mediante un doppio momento di valutazione discrezionale (prima tecnica, poi amministrativa): da qui il termine di discrezionalità “mista”.

Il sindacato giurisdizionale sulla discrezionalità tecnica.

Una volta delineata concettualmente la discrezionalità tecnica ed averne individuato i tratti distintivi dall’accertamento tecnico e dalla discrezionalità pura, occorre soffermarsi sulla tipologia di mezzi di tutela che un privato può utilizzare per contestare, davanti al Giudice Amministrativo,  le decisioni della Pubblica Amministrazioni  che siano espressione diretta o indiretta di discrezionalità tecnica.

I criteri che la Pubblica Amministrazione adopera per eseguire le proprie scelte discrezionali (siano essi di carattere tecnico-scientifico, siano essi di convenienza ed opportunità) rientrano nelle valutazioni di merito amministrativo. E’ indubitabile che sia la legge ad indicare alla P.A. quali fatti accertarlcunie o quali valutazioni eseguire al fine di tutelare il pubblico interesse, ma le scelte che l’Amministrazione compie in relazione ai criteri ed al loro utilizzo sono di carattere discrezionale. Infatti, sia nell’ambito della discrezionalità tecnica (norme tecniche e scientifiche) sia nell’ambito della discrezionalità amministrativa (criteri di convenienza ed opportunità), la P.A. fa ricorso a norme di carattere non giuridico (ancorché il loro utilizzo sia stabilito appunto dalla legge).

E tali criteri, in quanto non giuridici, non appaiono astrattamente sindacabili in sede giurisdizionale (a parte i pochi casi di sindacato nel merito), essendo afferenti al potere di amministrare e governare la res publica che la legge affida esclusivamente, appunto, alla Pubblica Amministrazione, in ossequio al tradizionale principio della suddivisione dei poteri.

Come si esplica, allora, il controllo giurisdizionale degli atti della Pubblica Amministrazione ? Come può il Giudice Amministrativo accertare la correttezza e la giustizia dell’operato della P.A. ?
Ricorrendo alla verifica di ulteriori aspetti, diversi dal merito, che comunque connaturano l’esercizio del potere della P.A., ossia i criteri di legittimità.

Perché è vero che l’Amministrazione è libera di adottare la scelta più congrua in relazione all’interesse pubblico, o adoperare i criteri tecnici più convenienti o più utili per l’accertamento di un fatto, ma non può muoversi in totale spregio delle norme giuridiche che concorrono ad assegnare ed a disciplinare le modalità di esercizio del potere.

Pertanto, nell’esercitare i propri poteri, dovrà rispettare le norme che segnano i confini della legittimità, oltrepassati i quali il suo operato sfocerebbe nella arbitrarietà e nella contrarietà alla legge.

Esistono, dunque, sotto questo profilo, tre tipologie di “vizi” degli atti amministrativi che rappresentano il segnale, il “sintomo” che la Pubblica Amministrazione ha travalicato i suddetti confini della legalità e che dunque abbia esercitato i propri poteri in contrasto con l’ordinamento giuridico.
Tali vizi sono il difetto di attribuzione, la violazione di legge e la controversa figura dell’eccesso di potere.
Il primo ricorre quando un atto, seppur conveniente nel merito e legittimo (nel senso di rispettoso delle leggi sul procedimento) è stato posto in essere da un organo che non possedeva il titolo e la competenza per emanarlo (es. ordine di demolizione emanato dalla Giunta Municipale).

Il secondo vizio si ha in tutti quei casi in cui la Pubblica Amministrazione non abbia rispettato le norme giuridiche che disciplinano i tempi, le modalità, le forme, i presupposti, le procedure per l’emanazione di determinati provvedimenti, seppur l’atto sia coerente sotto il profilo del merito (ad es. decreto di esproprio emanato dopo la scadenza del termine della dichiarazione di p.u.).

Il terzo vizio, invece, che rappresenta uno degli aspetti più dibattuti e discussi nella dottrina e nella giurisprudenza amministrativa, sostanzialmente configura l’unico strumento attraverso il quale il Giudice Amministrativo può indirettamente verificare la correttezza delle scelte di merito in relazione alla loro effettiva attitudine di perseguire lo scopo in ragione del quale la legge ha attribuito quel potere alla P.A.

In altre parole, restando ferma la possibilità della P.A. di scegliere i criteri ed i mezzi più opportuni per soddisfare il pubblico interesse, e di adottare i provvedimenti necessari, è pur vero che la norma che attribuisce siffatto potere viene posta per raggiungere un determinato scopo, un certo obiettivo di rilevanza pubblica.

Pertanto, laddove l’Amministrazione, nell’esercizio del proprio potere discrezionale, fa un uso distorto ed illogico di tale potere, per raggiungere ad esempio finalità diverse da quelle imposte dal legislatore, oppure travisa totalmente i fatti, interpretandoli in un modo che la porta a perseguire un interesse pubblico altrimenti non necessariamente prevalente, incorre nel vizio dell’eccesso di potere.

In sostanza, quindi, il vizio di eccesso di potere rappresenta l’unico limite posto dalla legge al consistente settore del merito amministrativo: la Pubblica Amministrazione può scegliere il comportamento o l’atto che, a suo insindacabile giudizio, si dimostri più opportuno e conveniente a tutelare un interesse pubblico, e che rispetti altresì le norme sulla competenza e sulle procedure da seguire, ma non può compiere questa scelta in maniera talmente arbitraria ed inopportuna da non riuscire a raggiungere lo scopo impresso dalla norma o, addirittura, per perseguire uno scopo diverso da quello che la norma suggerisce.

In tutti questi casi, infatti, quello che sarebbe un puro vizio di merito (dunque insindacabile dal Giudice) fuoriesce dai confini del merito (data la sua macroscopica evidenza) e diviene un vizio di legittimità, nonostante la P.A. abbia correttamente rispettato le norme che disciplinano tempi e modalità dell’atto stesso.

In tal modo, dunque, è consentito al Giudice di verificare se l’atto amministrativo sia conforme ai limiti interni posti a tutela del corretto esercizio del potere discrezionale, ossia se non abbia violato “tutto quel complesso di norme da cui è possibile ricavare i limiti del potere dell’amministrazione” 2/sup>.

Il vero problema e le difficoltà nascono però dalla circostanza che la deviazione dell’atto amministrativo dallo scopo legale non è facilmente verificabile nel caso concreto.
Se infatti risulta già complicato capire come funziona l’eccesso di potere sul piano teorico (e come esso, nonostante si concretizzi nella non conformità dell’atto allo schema legale, non deve essere confuso con la violazione di legge), risulta ancora più problematico verificare in concreto se un atto presenti tale vizio di legittimità, ovvero se un atto, che appare conforme in tutti i suoi elementi formali, sia davvero idoneo a concorrere al perseguimento dell’interesse pubblico.

Per tale motivo, la dottrina ha individuato delle figure, dette sintomatiche (sintomo, indizio, appunto, di una patologia interna dell’atto, che attiene alla sfera interna del merito) che possono far ragionevolmente dedurre al Giudice Amministrativo che il provvedimento sia illegittimo sotto il profilo dell’eccesso di potere.

In pratica, il Giudice, posto nell’oggettiva difficoltà rappresentata dal limite invalicabile di sindacare le scelte di merito della P.A., può riuscire a dimostrare che il procedimento seguito dall’Amministrazione sia palesemente illogico, contraddittorio, irragionevole (tramite il ricorso alle figure sintomatiche), e di conseguenza dedurre la sussistenza dell’eccesso di potere.

Tra le diverse figure sintomatiche elaborate dalla dottrina e dalla giurisprudenza si possono citare: lo sviamento di potere, l’irragionevolezza e l’illogicità dell’atto, la contraddittorietà tra diversi atti, il travisamento e l’erronea valutazione dei fatti, la disparità di trattamento.

Tutte queste figure concorrono alla verifica dell’idoneità dell’atto in concreto (ma, in alcuni casi, formalmente conforme allo schema legale) a raggiungere gli obiettivi posti in astratto dalla norma giuridica.

Sindacato giurisdizionale sulla discrezionalità tecnica.

Dopo aver illustrato le diverse forme di discrezionalità e i tre vizi di legittimità dell’atto amministrativo, occorre verificare in che modo la discrezionalità tecnica può essere sindacata in sede giurisdizionale.

Secondo un’antica dottrina, la discrezionalità tecnica non si differenzia da quella amministrativa sotto il profilo del controllo giurisdizionale: sarebbe consentito al Giudice di verificare la sussistenza del vizio di eccesso di potere soltanto nei casi più macroscopici, sotto la forma dell’errore manifesto, applicando la sensibilità dell’uomo medio (sindacato c.d. estrinseco), oppure ricorrendo alle figure sintomatiche utilizzate dalla giurisprudenza per il sindacato della discrezionalità pura.

Tali affermazioni sono state parzialmente superate dall’orientamento consolidato della giurisprudenza amministrativa, sviluppatosi soprattutto grazie all’introduzione nel novero dei mezzi istruttori a disposizione del G.A. della consulenza tecnica d’ufficio, ai sensi dell’art.16 L.21 luglio 2000, n.205.

Secondo tale orientamento, le valutazioni connotate da discrezionalità tecnica sarebbero sindacabili dal G.A. soltanto nel caso in cui si palesano manifestamente indici sintomatici dell’eccesso di potere, quali travisamento, irragionevolezza ed illogicità della procedura di valutazione (come sostenuto dalla summenzionata teoria restrittiva sul sindacato giurisdizionale), ma il tipo di sindacato che il giudice è chiamato ad esercitare su tali valutazioni non è più di tipo estrinseco, ma intrinseco, potendo egli rivisitare in via diretta ed immediata, tramite l’utilizzo degli stessi mezzi e degli stessi criteri tecnici adoperati dalla P.A., il procedimento di valutazione in modo tale da verificarne la correttezza e l’attendibilità.

In tal modo, il sindacato giurisdizionale appare sicuramente più penetrante e rispettoso del principio di effettività di tutela del privato, ma rimane sempre un sindacato di tipo “debole”, ossia limitato alla mera verifica da parte del Giudice Amministrativo della congruità delle valutazioni tecniche, facendo utilizzo dei criteri a Lui suggeriti dal C.T.U. in sede istruttoria. Nel caso in cui il Giudice accerti il cattivo esercizio del potere discrezionale tecnico, deve limitarsi ad annullare l’atto discendente dalla valutazione tecnica e rimandare alla P.A. il ri-esercizio corretto del potere.

A seguito, però, dell’introduzione del D.lgs. 104/2010 (“Codice del processo amministrativo”), che ha riformato interamente la giustizia amministrativa, oggi pare ammissibile, sebbene in linea teorica, un sindacato di tipo “forte” sulla discrezionalità tecnica.

Infatti, a tenore dell’art.31, co. 3 del C.P.A. (“Il giudice può pronunciare sulla fondatezza della pretesa dedotta in giudizio solo quando si tratta di attività vincolata o quando risulta che non residuano ulteriori margini di esercizio della discrezionalità e non sono necessari adempimenti istruttori che debbano essere compiuti dall’amministrazione“), il Giudice può accertare la fondatezza della pretesa del privato se divenisse superfluo, per ragioni di economia processuale e di effettività della tutela, rimandare alla P.A. il compito di effettuare una nuova valutazione, provvedendo direttamente all’assegnazione del bene della vita richiesto dal privato alla P.A., sostituendo la propria valutazione a quella dell’Amministrazione preposta.

Tuttavia tale tipologia di sindacato giurisdizionale, appunto c.d. forte, rappresenta un’evidente espansione dei poteri di intervento del Giudice che può andare completamente a sostituirsi alla P.A. nell’esercizio dei suoi poteri istituzionali. Per tale motivo, la sua ammissibilità è molto controversa ed oggetto di forti discussioni, incontrando tenace resistenza proprio da parte della P.A. che, tramite il rimedio del ricorso in Cassazione ex art.111 Cost contro le sentenze del Consiglio di Stato che hanno ammesso il sindacato forte sulla discrezionalità tecnica, cerca di mantenere saldo il suo esclusivo ruolo istituzionale di governo della res publica.

 

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 BIBLIOGRAFIA

1 F. CARINGELLA, Manuale di diritto amministrativo, Roma, 2016

2 D’AMELIO-AZARA, Novissimo Digesto Italiano, voce: Eccesso di potere, pag. 346

 

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